Le Lettere del Marino, che avevano l’intento di promuovere l’immagine del poeta di successo, apparvero postume, pubblicate a partire dal 1627, due anni dopo la sua morte.
Ricco documento degli episodi della vita del poeta, pur lasciando in ombragli episodi più oscuri, narrano di un uomo che attraversa varie corti (napoletane, romane, la reale di Parigi), consapevole del proprio valore poetico, che, grazie anche all’appoggio di amicizie virtuose ed influenti, ma alla pari, senza mendicare favori, riesce a conquistarsi l’indipendenza necessaria per scrivere.
Nel nutrito epistolario ci sono lettere di ringraziamento, lettere polemiche (come quelle contro il Murtola), lettere di richiesta da collezionista d’arte, e ci sono anche quelle che ci raccontano del suo culto dell’amicizia, delle sue grandi vere passioni, la poesia e la pittura; tutte, fra luci ed ombre,testimoniano la vivacità intellettuale e la ben nota abilità stilistica, in pagine e pagine argute, giocose, curiose (come le “stravaganze parigine” annotate nella lettera proposta, che altro non sono che gli usi e i costumi dei francesi, briosamente descritti), ricche di scene di colore, in un periodare articolato secondo il consueto virtuosismo dell’autore.
A Don Lorenzo Scoto
Vi do aviso che son in Parigi, dove, lasciando a voi altri piemontesi il « vaire»,1 il “neco”2 ed il “mi decò”3, mi son dato tutto al linguaggio francioso, del quale però altro sin qui non ho imparato che “oui” e “nani”4; ma ne anco questo mi par poco, poiché quanto si può dire al mondo consiste tutto in affirmativa e negativa. Circa il paese, che debbo io dirvi ? Vi dirò ch'egli è un mondo.
Un mondo dico non tanto per la grandezza, per la gente e per la varietà, quanto perch'egli è mirabile per le sue stravaganze. Le stravaganze fanno bello il mondo, perciocché, essendo composto di contrari, questa contrarietà constituisce una lega che lo mantiene. Né più ne meno la Francia è tutta piena di ripugnanze5 e di sproporzioni, le quali però formano una discordia concorde che la conserva. Costumi bizzarri, furie terribili, mutazioni continue, guerre civili perpetue, disordini senza regola, estremi senza mezo6, scompigli, garbugli, disconcerti e confusioni; cose, insomma, che la doverebbono distruggere, per miracolo la tengono in piedi. Un mondo veramente, anzi un mondaccio più stravagante del mondo istesso. Incominciate prima dalla maniera del vivere: ogni cosa va alla rovescia. Qui gli uomini son donne e le donne sono uomini: intendetemi sanamente. Voglio dire che quelle hanno cura del governo della casa e questi si usurpano tutti i lor ricami e tutte le lor pompe. Le dame studiano la pallidezza e quasi tutte paiono quatriduane.7 Per esser tenute più belle sogliono mettersi degli impiastri e de' bullettini in sul viso. Si spruzzano le chiome di certa
polvere di Zanni8 che le fa diventar canute, talché da principio io stimava che tutte fossero vecchie. Veniamo al vestire. Usano di portare attorno certi cerchi di botte a guisa di pergole9, che si chiamano “verdugati”....
Questo quanto alle donne. Gli uomini in su le freddure maggiori del verno vaino in camicia. Ma vi ha un'altra stravaganza più so bella, che alcuni sotto la camicia portano il farsetto. Guardate che nuova foggia d'ipocrisia cortigiana! Portano la schena aperta d'una gran fessura d'alto a basso, appunto come le tinche10 che si spaccano per le spalle. I manichini11 sono più lunghi delle maniche, onde rovesciandoli su le braccia par che la camicia venga a ricoprire il giubbone. Hanno per costume d'andar sempre stivalati e speronati: e questa è pure una delle stravaganze notabili, perché tal vi è che non ebbe mai cavallo in sua stalla ne cavalcò in sua vita, e tuttavia va in arnese12 da cavallerizzo. Né per altra ragione penso io che costoro sian chiamati “galli”, se non perché appunto come tanti galletti hanno a tutte l'ore gli sproni a' piedi con certi stivaletti cavati dalla forma di quelli di Margutte,13 e d'avantaggio sopra gli stivali calzano le pianelle. Ma in quanto a me, più tosto che “galli” doverebbono essere detti “pappagalli” poiché se ben la maggior parte, quanto alla cappa e alle calze, vestono di scarlatto si che paiono tanti cardinali, il resto poi è di più colori che non le tavolozze de' depintori. Penacchiere lunghe come code di volpi, e sopra alla testa tengono un'altra testa posticcia con capelli contrafatti e si chiama “parrucca” ; onde a chi n'afferrassemo per lo ciuffetto interverebbe quello che intervenne al satiro con Gerisca14. Che ne dite, don Lorenzo? Anch' io per non uscir bell'usanza sono stato costretto a pigliare i medesimi abiti. O Dio! se voi mi vedeste impacciato tra queste spoglie di mamalucco, so che vi darei da ridere per un pezzo.... Il diametro è della larghezza e della profondità delle mie brache noi saprebbe pigliar Euclide.... Due pezze intiere di zendado sono andate a farmi un paio di legami, che mi vanno sbattochiando pendoloni fino a mezza gamba con la musica del tif taf.
L' inventor di questi collari ebbe più sottile ingegno di colui che fece il pertugio all'ago. Sono edificati con architettura dorica ed hanno il suo contraforte e '1 rivellino attorno: giusti, tesi, dritti, tirati a livello; ma bisogna far conto di aver la testa dentro un bacino di maiolica e di tener sempre il collo incollato come se fosse di stucco. Calzo certe scarpe che paiono quelle di Enea, secondo che io lo vidi dipinto nelle figure d'un mio Virgilio vecchio in tabellis. Né per farle entrare bisogna molto affaticarsi a sbatter il piede, poiché hanno d'ambedue i lati l'apertura si sbrandellata che mi convien quasi strascinar gli scarpini per terra. Per fettucce hanno su certi rosoni, vogliam dir cavoli capucci, che mi fanno i piedi pellicciuti come han i piccioni casarecci.
Sono scarpe e zoccoli insieme insieme, e le suole hanno uno scanetto sotto il tallone, per lo quale potrebbono pretendere dell' «Altezza», si che mi potreste dire: — Scabellum pedum tuorum. — Paio poi Cibele15 con la testa turrita, perché porto un cappellaccio lionbrunesco16 che farebbe ombra a Morocco, più aguzzo della guglia di Sammoguto. Infine tutte le cose qui hanno dal appontuto: i capelli, i giubboni, le scarpe, le barbe, i cervelli, infino i tetti delle case. Si possono immaginare stravaganze maggiori? Vanno i cavalieri tutto il giorno e la notte “permenandosi” (cosi si dice qui l'andare a spasso); e per ogni mosca che passa, le disfide e i duelli volano. Quel ch' è peggio, usan di chiamar per secondi eziandio coloro che non conoscono (eccovi un'altra stravaganza), e chi non vi va è svergognato per poltrone.... Le cerimonie ordinarie tra gli amici son tante e i complimenti son tali che, per arrivare a saper fare una riverenza, bisogna andare alla scuola della danza ad imparar le capriole, perché ci va un balletto prima che s'incominci a parlare. Le signore non fanno scrupolo di lasciarsi baciare in publico; e si tratta con tanta libertà che ogni pastore può dire alla sua ninfa comodamente il fatto suo.
Circa il resto, per tutto non si vede che giuochi, conviti, festini; e con balletti e con banchetti continovi si fa gozzoviglia e, come dicono essi, “buona cera”. Vi si ammazzano più bestie in un giorno che la natura non ne produce in un anno, e vi si divora più carne che non n' hanno i macelli di carnevale.
Chi nega l'intelligenza e chi non vuol conceder il moto perpetuo, venga qui a mirar per ogni bettola girandole ricamate di polli e spedonate d'arrosti, che, mosse da virtù invisibile, non cessan mai di voltarsi appresso al fuoco. L'acqua si vende e gli speziali tengono bottega di castagne, di cappari, di formaggio e di caviaro.
Di frutti, questo si ce n'è più dovizia che di creanza in tinello. Chi volesse parlar di uve, di fichi o poponi, avrebbe mille torti. Il teschio dell'asino nell'assedio di Gierusalemme fu venduto a miglior mercato che qui non costa un limone o una melangola. Si fa gran guasto di vino e per tutti i cantoni ad ogni momento si vede trafficar la bottiglia.... Ma l'importanza sta che qui il sole va sempre in maschera, per imitar forse le damigelle che costumano anch'elle di andar mascherate. Quando piove è il miglior tempo che faccia, perché allora si lavano le strade; in altri tempi la broda e la mostarda si baciano le mani.... Volete voi altro ? Infine il parlar è pieno di stravaganze. L'oro s'appella «argento». Il far colazione si dice «digiunare». Le città son dette «ville». I medici «i medicini». I vescovi “vecchi”.... Il brodo «un buglione», come se fussero della schiatta di Goffredo. Un “buso” significa un pezzo di legno. Avere una “botta” sulla gamba vuol dire uno stivale....
Eccovi fatto un sommario delle qualità della terra e delle usanze di questa nazione. Di mano in mano vi darò poi dell'altre novelle....
Di Parigi (1615)
Cappuccio, Gli scrittori italiani, Vol. III
Note
1) il “ vaire“, quanto, è intercalare comune del dialetto piemontese
2) “neco“, niente, è intercalare comune del dialetto piemontese
3) “mi decò“, anch'io,è intercalare comune del dialetto piemontese
4) “oui“ e “nani“: si e no
5) ripugnanze, contraddizioni
6) senza mezo, senza misura
7) quatriduane, morte da quattro giorni
8) polvere di Zanni, polvere di cipria. Zanni è il nome di una maschera da commedia bergamasca; qui sta per “pagliaccio”, “buffone”
9) Il poeta allude alla moda del “guardinfante”, la gonna con i cerchi
10) qualità di pesce
11) i polsini
12) in costume
13) il bizzarro personaggio del Pulci, e i suoi calzari
14) personaggio del pastor fido del Guarini (1538-1612), un satiro, credendo di tener ben ferma per i capelli la ninfa Corisca, resta, invece, con la sua parrucca in mano
15) la dea Cibele
16) sul tipo di quello di Liombruno, personaggio di fiabe, il cui cappello rendeva invisibili
leggi anche Le fischiate di Marino
Riferimenti bibliografici
G. Marino, Parigi 1615. Lettera sulla stranezza della moda e dei costumi parigini, Edizioni dell’Elefante, Roma,1981
Marino e i marinisti, a cura di G. G. Ferrero, Ricciardi, Milano, 1954