Fiori di seta per donna Paoletta
5 luglio 1681. Carlo Spinola sposa Paola Brignole Sale, in famiglia affettuosamente chiamata Paoletta. Il banchetto nuziale è ricco di vini pregiati, alimenti insoliti, quanto di meglio possa offrire Genova in quel momento: statue di pasta, piedistalli per le piramidi di frutta e dolci, persino una fontana sulla credenza per la quale sono state costruite appositamente le condutture d’acqua in piombo. Il “barcheggio” con musica composta da Stradella completa la magnifica festa accuratamente condotta da Gio Francesco e Maria Durazzo, zii della sposa, memori dei fasti celebrativi e scenografici di Roma.
Fanno corona a questa cornice fiabesca i fiori inviati in bacili dalle monache. Donna Matilde Sauli, monaca alle Grazie ne invia a più riprese per il matrimonio chiarendo i costi, le quantità, il numero e le specie di fiori in un documento molto interessante: il garofano immancabile protagonista nei matrimoni, il tulipano, il mughetto, la cassia, il fiore del sicomoro, ranuncoli, anemoni e ambrette; le rose indicate con nomi usati ancora oggi: rose incarnate, rose “moschette”, rose cinque foglie e rose bianche (simbolo di purezza), tutte accuratamente descritte dal Villanova qualche anno dopo in riferimento alla fioritura di rose in Liguria.
Il bacile di Donna Matilde è così ben descritto che ancora oggi potrebbe essere ricostruito. Ma come è possibile che fiori appartenenti a tempi di fioritura diversi e di varia provenienza possano figurare tutti insieme? La risposta è semplice: sono fiori realizzati in seta, artificiali in una parola.
L’arte del fiore artificiale era ben nota nella Genova del Seicento e i merciai genovesi avevano il monopolio sulla produzione fin dal 1648; un’arte che affondava le sue radici in tempi lontani.
Giardini di seta
La storia dei fiori artificiali inizia circa 3000 anni fa. Nel libro dei Re, nel Vecchio Testamento, sono menzionati per la prima volta. La regina di Saba aveva posto a Salomone diversi enigmi da risolvere per capire se fosse degno di lei. Tra i vari enigmi vi era quello di riconoscere tra 12 mazzi di gigli l’unico che non fosse artificiale. Salomone fu abbastanza saggio da notare un’ape che si posò solo su uno di essi palesando in questo modo i falsi.
In Egitto i fiori artificiali erano realizzati con lino colorato. I greci avevano appreso dall’oriente l’arte di comporre fiori e ghirlande artificiali e così anche i Romani. In Cina e in India gli artigiani si servivano, secondo una tecnica ancora in uso, del midollo di certi arbusti o di legni tenerissimi e leggerissimi come la balsa della carta e della seta.
Dall’oriente arabo la tecnica fu importata a Venezia e da allora gli Italiani divennero abilissimi nell’arte del fiore artificiale. Nel medioevo si mescolavano foglie vere a fiori essiccati secondo una particolare procedura. I festoni realizzati venivano spesso riprodotti dai pittori del gotico internazionale e del Rinascimento. Sempre nel medioevo le suore iniziarono una produzione propria per decorare anche in inverno le chiese e le immagini sacre con i fiori. Vi era tra le monache la tacita regola di utilizzare per i fiori destinati all’ambiente religioso solo materiali come la seta o il metallo.
Fu dal Cinquecento al Settecento che il fiore artificiale ebbe il suo massimo splendore, soprattutto in Italia e poi in Francia. I fiori artificiali divennero persino oggetti d’arte molto in voga
trovando nelle camere delle meraviglie, le Wunderkammer, il loro spazio nel settore artificialia.
I fiori artificiali, dall’arte al collezionismo
I fiori di seta, di carta, di sottile lamina metallica e di pergamena divennero piccoli oggetti d'arte per collezionisti.
Si cercava di superare la natura con la creazione di qualcosa di straordinario, una sorta di sfida lanciata al mondo naturale, considerato esso stesso una forma d’arte.
La combinazione dell’arte con la natura produsse oggetti dall’effetto volutamente disorientante rendendo i naturalia e gli artificialia praticamente indistinguibili. Un esempio tra tutti i noti “fiori di pietra” dei Medici tra cui spiccano i girasoli realizzati nel 1664 su disegno di Girolamo della Valle. L’idea di utilizzare pietre dure per riprodurre fiori trova riscontro anche in altre corti come il vaso di fiori di Miseroni realizzato per le collezioni imperiali, in cui appaiono rose, tulipani e campanelle su steli d’argento.
L’arte e la natura combinati con la produzione di oggetti privi di qualsiasi utilità se non quella decorativa, trovarono il loro interprete più illustre nell’Arcimboldo con le sue rappresentazioni allegoriche.
I fiori artificiali nella moda
Utilizzare fiori artificiali come elemento decorativo nell’abbigliamento e nell’arredamento era una pratica già in uso nel medioevo ma fu dal XVI secolo in poi che si registrò un vero e proprio boom.
Tiziano poté osservarlo in tutta Italia: egli ci dice, nel suo libro degli “Habiti”, che le donne di Padova, di Vicenza e di Genova avevano la testa “ornata di fiori di seta e d’oro lavorati sottilissimamente” e ammirava particolarmente le rose artificiali fatte di “cordella di seta”(un nastro piegato e girato sino a prendere la forma di un fiore).
Nel Cinquecento i fiori artificiali destinati alla moda venivano realizzati con diverse tecniche: con la cera, con la filigrana, con le perle di Venezia, con il corallo, con la canutiglia d’oro e d’argento, con la madreperla e persino con la colla di pesce.
Furono gli italiani ad introdurre in Francia l’arte del fiore artificiale: “.. bravissimi anche in quest'arte: persino la nobiltà italiana si occupa di far fare i fiori artificiali". I fiori più pregiati, tra quelli lavorati in Italia, venivano da Siena.
Nell’inventario della Corona di Luigi XIV nel 1673 figurano ben 3000 mazzi di fiori artificiali realizzati in velo, in seta o con le tecniche cinesi. I cinesi furono infatti dei fioristi certosini e impareggiabili andando ad influenzare le diverse tecniche con l’utilizzo di penne e piume.
I fiori non mancavano mai nei vestiti, sui cappelli, sui tendaggi e sui baldacchini.
L’arte del fiore artificiale divenne dunque una vera e propria professione che avrà il suo culmine nel Settecento a Parigi, capitale mondiale del fiore artificiale. Produttori di fiori artificiali e di piume collaboravano con cappellai e parrucchieri.
Già nel dizionario delle arti e dei mestieri (Lacombe 1756) si trova la definizione di bouquetière con queste parole: “L'arte è di imitare tutti i tipi di fiori e piante con il taffettà di batista, carta, penne, pergamena, e vari altri materiali, in modo che siano presi per veri. "
L’almanacco di Gotha del 1786 dedica un lungo articolo alla professione del bouquetière, dando chiarimenti sul modo di fare i fiori con le piume, consigliando di utilizzare le penne di pavone per la riproduzione dei petali e fornendo la descrizione delle tecniche italiane col baco da seta, considerato il miglior materiale per il fiore artificiale per via delle sue proprietà elastiche.
Parrucche, abiti e cappelli erano ricchi di fiori artificiali in seta, in pelle, in pietre preziose poiché anche i gioiellieri si dedicarono all’arte della riproduzione floreale.
Nella seconda metà del XVIII secolo l’arte dei fioristi divenne così importante che le loro fabbriche potevano essere considerate delle vere e proprie industrie. Tra questi spiccano Monsieur Seguin, Monsieur Beaulard ma soprattutto T. J. Wenzel, fiorista personale della regina Maria Antonietta.
Wenzel aveva iniziato la sua attività intorno al 1750 utilizzando principalmente il cotone per la realizzazione di fiori artificiali. Ben presto la sua attività divenne così importante che dovette impiegare cinquemila operaie che lavoravano non solo per l’ambiente modaiolo ma anche per la chiesa e per le imprese funebri. I fiori erano infatti largamente richiesti anche per altri usi meno frivoli.
Si narra che il conte d’Artois commissionò a Wenzel un bouquet di rose bianche su ogni petalo delle quali vi fossero incise le iniziali della regina Maria Antonietta.
Il risultato fu così perfetto da provocare lo stupore degli astanti e della stessa regina.
Wenzel realizzò anche la rosa che la regina tiene tra le mani nel famoso ritratto di Madame Vigée Lebrun, una scelta più che altro logistica e utile alla pittrice in quanto una vera rosa sarebbe appassita durante i tempi di posa.
La Rivoluzione Francese causò la fuga di molti artigiani tra cui lo stesso Wenzel. Essi portarono in altri paesi, soprattutto in Inghilterra, la loro arte e il loro sapere, compresi i loro segreti.